Siamo preoccupati. I dazi che gli Usa vogliono imporre ai prodotti europei non sono una bazzecola. Tanto più se aggiunti alla svalutazione del dollaro. Sono a rischio esportazioni, tenuta delle nostre imprese, posti di lavoro.
Bisogna ricordare però che all’inizio della trattativa i dazi minacciati erano addirittura del 50%. Evidentemente si è percorso un buon pezzo di cammino. Ma la strada è ancora disseminata di difficoltà. L’obiettivo, infatti, non può che essere quello di ‘dazi zero’. E casomai, in prospettiva, quello di un’area di libero scambio Ue-Usa.
Ora che la parola è passata decisamente all’Europa, l’Unione dovrebbe far valere il valore del suo Pil, il 22% a livello mondiale, poco inferiore al 25% degli Usa. E mettere sulla bilancia anche l’incontrovertibile constatazione che dal piano di riarmo a guadagnarci saranno gioco forza le imprese a stelle e strisce. Bruxelles dovrebbe, nel contempo, impegnarsi a facilitare il commercio infra-europeo, oggi ostacolato da lacci e lacciuoli anti-economici.
Al governo italiano chiediamo non solo di fare ulteriori pressioni su Washington ma anche, forse prioritariamente, di studiare con rapidità piani di accesso ad altri mercati internazionali. In particolare, ipotizzando una massiccia serie di missioni nel mondo alle quali partecipi, però, il sistema Paese nella sua interezza. Bisogna puntare su missioni di filiera evitando che all’estero sia condotta solo una minoranza di grandi e medie aziende lasciando a casa oltre nove imprese su dieci, l’ossatura del Made in Italy, quasi fossero figlie di un dio minore.